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giovedì 29 aprile 2010

Il dialogo sociale è un metodo da tutelare e promuovere. Ma Telos è un'altra questione.

Il “25 Aprile degli imbecilli” (come lo ha appellato Augusto Airoldi nel suo blog personale), ovvero la “sovversiva, fumogena e protestataria” (come l’ha definita il sottoscritto su Zone di Confine) azione di Telos alla celebrazione della Liberazione ha riportato alla cronaca vari temi e fatto riemergere diverse pulsioni, tra loro anche molto contrastanti, rispetto all’approccio che la politica dovrebbe seguire nell’affrontare la questione “centri sociali”.
Sempre da questo blog ho lanciato il mio personale pensiero riguardo l’opportunità, per l’Amministrazione Comunale, di non ricorrere al dialogo sociale per gestire il problema Telos e più in generale la problematica legata ai “centri sociali”, assunta nella sua accezione negativa.
Successivamente il Sindaco Luciano Porro ha annunciato l’intenzione di incontrare i ragazzi di Telos per “capire cosa vogliono fare anche nel rispetto delle regole”. Per altro questa volontà di Porro ben rappresenta il suo usuale approccio ad ogni questione, sempre basato sulla conoscenza diretta delle questioni e delle persone cui queste fanno riferimento.
Ritengo tuttavia che il ricorso al dialogo sociale vada circostanziato e contestualizzato, al fine di non fuorviarne il significato, non depotenziarne la capacità di produrre effetti positivi e non derubricarlo a sterile pratica democratica priva di efficacia. Una riflessione pacata sulle dinamiche sottostanti le pulsioni sociali di Telos potrebbe aiutare a discernere le situazioni e le circostanze nelle quali il dialogo sociale, se correttamente attivato, può costituire la strada maestra per la soluzione delle questioni e la ricomposizione delle posizioni, dalle situazioni in cui venendo meno i presupposti di dialogo il ricorso allo stesso produrrebbe una cronicizzazione delle questioni.

È comprensibile che l’Amministrazione di centrosinistra adotti il metodo del dialogo nella gestione della “questione giovanile”, lanciando ad esempio tavoli di concertazione delle politiche giovanili, organizzando momenti di consultazione e di ascolto, promuovendo iniziative e collaborazioni partecipate, o quant’altro sia ascrivibile al capitolo partecipazione e coinvolgimento. Può non essere condivisibile come scelta politica, ma certamente ha un suo valore intrinseco.
La specifica questione di Telos però sfugge a queste circostanze. Telos non è un paragrafo del capitolo “questione giovanile”. Dissento da chi sostiene, pur condannando le azioni illegali, che dietro Telos si annida un disagio che va capito e intercettato. Ritengo Telos un paragrafo del capitolo “sovversione”. Per altro l’opposizione al dialogo è venuta, almeno fino ad oggi, proprio da Telos. L’uso del dialogo in questa specifica circostanza produrrebbe l’effetto di rendere isteriche le parti, a meno che una delle due ceda. Ma è accettabile che a Telos venga assegnata la dignità di “parte” dialogante con l’Amministrazione Comunale? Telos rappresenta un interesse collettivo, generale, diffuso oppure solo se stesso? Telos è espressione del disagio giovanile? Io credo di no. Credo che manchino i presupposti per ricorre ad un dialogo costruttivo.

Il dialogo sociale è la risultante di un continuo processo di maturazione delle parti coinvolte, che si alimenta di reciproca legittimazione e di convergenza di interessi, nel rispetto delle divergenze di opinione e di ruolo. L’apertura di un tavolo di dialogo comporta la condivisione non solo del metodo, ma la disponibilità a concorrere ad una discussione che assuma come legittime e lecite le motivazioni dell’altra parte. Il mancato riconoscimento della legittimità delle ragioni dell’altra parte non porta al dialogo, ma a qualcosa di diverso che, tanto per dare un’immagine, il linguaggio giuridico chiama “dibattimento”. La legittimità delle motivazioni e delle questioni non è pertanto un fattore imprescindibile nella valutazione dell’opportunità ad attivare un canale di dialogo, bensì costituisce uno degli elementi fondanti del dialogo sociale. Diversamente chiunque, in modo scriteriato ed arbitrario, avrebbe la possibilità di accedere impunemente al tavolo di dialogo. Ma questo comporterebbe uno svilimento del dialogo stesso, che verrebbe percepito non più come la modalità assunta dalle parti sociali per regolare e alimentare i loro rapporti in regime di reciprocità, ma come uno sfogatoio nel quale affogare e far convergere tutte e qualsiasi questioni di dissenso, di rifiuto, di avversione, di sovversione.

Pietro Insinnamo

1 commento:

  1. Ed è per questo motivo che il PD è ben contento di aprire un dialogo e un tavolo di confronto con CasaPound; per non parlare del PdL che i ragazzi di CasaPound li invita direttamente ad entrare nel suo partito.

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