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martedì 28 settembre 2010

La Lega e il colpevole silenzio del PD varesino

Nei partiti i congressi costituiscono un momento fondamentale, nel quale vengono definiti linea politica e indirizzi programmatici.
Naturale guardare con curiosità al congresso provinciale del PD per capirne gli orientamenti, soprattutto in relazione al rapporto con la Lega, che proprio nel varesotto ha la propria terra di elezione, perchè varesotti sono, tra gli altri, Bossi e Maroni.
Ecco cosa ritroviamo nel documento di indirizzo programmatico del candidato unico alla segreteria provinciale del PD, Taricco: "E’tempo di assumere un atteggiamento fermo nei confronti della Lega. Dalla nostra provincia deve partire un’azione capillare per smascherare le ambiguità del carroccio. I leghisti hanno votato senza battere ciglio tutte le nefandezze proposte dal governo di centrodestra (legge ad personam e ad aziendam, scudo fiscale, attacchi al mondo del lavoro e ai diritti, ecc). Il loro richiamo al federalismo è smentito nei fatti quando approvano la manovra correttiva che riduce drasticamente i trasferimenti agli enti locali costringendo questi ultimi al taglio di servizi di prima necessità per i cittadini. La Lega inneggia alla virtuosità dei conti pubblici e poi partecipa con il governo alle regalie ai comuni di Catania, Palermo, Roma (tutti di centrodestra) per coprire i buchi nei bilanci dei quei comuni."
Alla Lega si rimprovera la scarsa coerenza sui temi del federalismo e l'appoggio ai provvedimenti pro premier.
Tutto qui.
Il segretario provinciale del PD non dice nulla sull'uso strumentale del tema sicurezza operato dalla Lega; non dice nulla sulla lunga teoria di decreti sicurezza, sfornati da questo Governo, su impulso della Lega; non dice nulla sulla concezione emergenziale del tema immigrazione, che per la Lega è fenomeno da contrastare con forza; non dice nulla sulla giustizia fai da te e sulle ronde volute dalla Lega; non dice nulla sui rom, che, per Maroni, vanno sgombrati dai campi nomadi, ma il cui destino abitativo viene demandato al terzo settore.

E se questa è la posizione dell'unico candidato alla segreteria, evidentemente è la posizione prevalente, se non unanime, del PD provinciale: il silenzio complice di fronte alla Lega e alle sue politiche, nella speranza che un giorno, chissà, si possa andare a braccetto con Bossi e i suoi: in fondo sono una "costola della sinistra".

Che vergogna.

martedì 14 settembre 2010

Lega: Maroni ... e sinonimi

Chiedo scusa ai coautori del blog e ai nostri 25 (esagerato !) lettori, ma mi accingo a postare un articoletto un tantino volgare. D’altra parte devo parlare della Lega e mi corre quindi l’obbligo di adeguare il linguaggio allo stile del suo leader, il Bossi da Gemonio, che ormai da mesi gira l’Italia con il dito medio perennemente sollevato in segno di saluto (forse perché, passati gli anni del celodurismo, il dito è l’unica cosa che riesce a sollevare).

Battute grevi a parte, mi preme brevemente parlare di quanto successo ad Adro.
Adro, ridente (fino a ieri) paesino in provincia di Brescia, è amministrata da un simpatico sindaco leghista, anzi, a lui probabilmente piacerebbe essere definito borgomastro, che, in vista del nuovo anno scolastico, ha avuto una pensata geniale: per farla breve, costui, il borgomastro padano, ha disseminato le aule della scuola elementare, pubblica, cioè di tutti, di effigie del “Sole delle Alpi”, il simbolo del suo partito, la Lega appunto.
Una scuola pubblica riempita di effigie raffiguranti simboli di un partito. Che fenomeno ! Roba che non si vede più nemmeno nella Russia dell'amicone Putin.
Che dire ? Lega: un Maroni, tanti coglioni.

p.s.: a proposito di Lega, il Bossi da Gemonio domenica, dopo aver battezzato (con rito celtico ?) a Venezia quel lavativo (tutto suo padre !!) del figlio, Renzo "la trota", cui noi, somari lombardi, paghiamo 12.500 euro al mese di stipendio, ha detto che “il federalismo è alle porte, ormai la va a giorni”. Caspita ! In effetti ho appena sentito che l’hanno intravisto, il federalismo padano, dalle parti di Arquata Scrivia ed entro domenica, traffico permettendo, dovrebbe arrivare a Bagnolo Cremasco.
Ah, no, scusate, non è il federalismo padano, è Miss Padania … va beh, è lo stesso: federalismo padano o Miss Padania non cambia, sempre di stronzate si tratta.

domenica 12 settembre 2010

Sinistra "radicale": la misura del tradimento dell'idea del PD

L'avversario politico come un nemico, che non ha diritto di esprimere le proprie opinioni, e che va quindi fatto tacere, anche ricorrendo alla violenza, verbale e fisica.
Questa è la politica secondo quelli che hanno, con le proprie prodezze, "animato" la festa del PD a Torino: la scorsa settimana impedendo a Schifani di partecipare ad un dibattito con Fassino e, nei giorni scorsi, inscenando una violenta gazzarra contro il segretario della Cisl Bonanni. Entrambi nemici, entrambi zittiti.
Individui e gruppi che fanno politica usando la violenza. E che trovano comprensione, giustificazione e tolleranza tra le forze politiche della sinistra "radicale". Ricordiamo bene che la scorsa estate il nuovo profeta della sinistra italiana, Nicky Vendola, elencò, durante un intervento pubblico, i suoi "eroi": Giovanni Falcone, Paolo Borsellino e Carlo Giuliani.
Proprio così: Falcone e Borsellino, uccisi dalla mafia in quanto uomini dello Stato, assimilati a Carlo Giuliani, ucciso durante i violenti scontri al G8 di Genova.
Incredibile e vergognoso.
E proprio il rapporto con la sinistra "radicale" offre la misura della distanza che separa il PD attuale rispetto a ciò che era nel 2007, alle sue origini.
Walter Veltroni evidenziò subito la volontà di non allearsi con la sinistra "radicale". Un gesto chiaro, limpido, che evidenziava la rottura del PD rispetto alla tradizione comunista; una scelta fatta con lo sguardo rivolto al futuro, un futuro nel quale per Veltroni non c'era più posto per la tragica utopia comunista. Un atto di chiearezza e di coraggio, fatto con la forza di chi, per affermare un'idea e vincere la guerra, è disposto a perdere la battaglia: purtroppo Veltroni perse le elezioni del 2008.
Ma, caduto Veltroni, il coraggio della rottura con la sinistra "radicale" si è perso e, piano piano, si è ritornati ad abbracciare la teoria del "nessun nemico a sinistra" fino ad arrivare al patto di desistenza tra PD e "sinistra radicale" siglato recentemente tra Bersani e i vari Vendola e Ferrero. Alle prossime elezioni politiche PD e sinistra "radicale" si strizzeranno l'occhio: un ritorno al passato, con un unico obiettivo, vincere le elezioni, senza il benchè minimo disegno di progettualità per l'Italia del futuro.
Il PD delle origini e l'attuale PD: due soggetti politici diversissimi.
Qualcuno si è accorto dell'involuzione e se ne è andato. Chi è rimasto o non se ne è accorto o pensa che il futuro dell'Italia passi attraverso alleanze con chi si richiama al comunismo e tollera la violenza politica.
Auguri, compagni !

lunedì 6 settembre 2010

Strade nuove

L’estate della politica si è chiusa ieri con il discorso di Fini a Mirabello.
Un’estate politica caotica e, per certi versi, squallida, al termine della quale ritroviamo tre elementi certi:
1) L’implosione del PDL che, come affermato da Fini, “non c’è più”: il fallimento del progetto del teorizzato partito liberale di massa, dietro il quale si cela in realtà una visione padronale del partito e delle istituzioni, entrambi visti come strumenti da asservire all’interesse personale del capo;
2) La perdurante afasia del PD, intento ad occuparsi non dei problemi degli italiani, ma del “se e come fare le primarie”, con le immancabili bordate che dal territorio (vedi Chiamparino e Renzi) arrivano sulla dirigenza nazionale, e, sullo sfondo, il perpetuarsi della ventennale contrapposizione D’Alema – Veltroni;
3) La convergenza tra Fini, Casini e Rutelli su alcuni temi concreti dell’agenda politica, dalla riforma della legge elettorale al quoziente familiare, nel quadro di una ritrovata “etica del dovere”, scomparsa dal lessico del bipolarismo italiano e finalmente rievocata, si spera non solo ad uso giornalistico, da Casini e Fini nei loro recenti interventi pubblici.
Ed è interessante notare come proprio Fini e Rutelli, cofondatori del PDL e del PD, ne abbiano certificato la fine. Probabilmente persuasi che non di “fusioni tra uguali” si è trattato, bensì della fagocitazione del più piccolo ad opera del più grande. E così se il PDL è diventato una Forza Italia allargata, un partito padronale, nel quale uno decide (il più delle volte pro domo sua) e gli altri obbediscono, senza luoghi di discussione, il PD si è appalesato come la prosecuzione della storia politica del PCI-PDS-DS, con gli stessi stilemi, dalle adunate di piazza quali momenti fondativi della propria soggettività politica, al collateralismo con la CGIL, dal centralismo democratico (che in provincia di Varese abbiamo purtroppo sperimentato di persona) ad un certo giustizialismo a senso unico.
Il partito azienda contrapposto alla riproposizione della presenza politica della sinistra italiana. Questo è il bipolarismo italiano: altro che nuovo modo di fare politica !
Un’offerta politica che ha prodotto distanza e disillusione in tanti elettori, che, infatti, preferiscono non votare.
Fini e Rutelli hanno certificato la fine del PDL e del PD; si apre ora una fase nuova.
L’auspicio di chi ha da tempo smesso di credere in questo bipolarismo è che da questi fallimenti incrociati possa nascere qualcosa di positivo, un rinnovato impegno, le famose "strade nuove" da tempo evocate da Padre Sorge, una nuova soggettività politica, che si possa inserire a pieno titolo nel solco del popolarismo italiano. E mi piace richiamare la chiusura dell’appello ai “liberi e forti” di Don Sturzo:
“A tutti gli uomini moralmente liberi e socialmente evoluti, a quanti nell'amore alla patria sanno congiungere il giusto senso dei diritti e degl'interessi nazionali con un sano internazionalismo, a quanti apprezzano e rispettano le virtù morali del nostro popolo, a nome del Partito Popolare Italiano facciamo appello e domandiamo l'adesione al nostro Programma.”
Siamo pronti all’impegno, con passione e dedizione; pronti, ma, come tutti quelli che vivono l’impegno politico come ricerca del bene comune e non dell’interesse personale, saremo vigili di fronte a tentazioni di trasformismo, derive plebiscitarie e, soprattutto qui al Nord, cedimenti alla “cultura dell’egoismo”, incarnata dalla Lega, con la quale, è bene dirlo subito, non si deve scendere a compromessi.

sabato 4 settembre 2010

Basta ammucchiate !

"Se Berlusconi e la Lega dovessero portare il Paese alle terze elezioni in sei anni, allora noi proporremo a Fini un'alleanza per la democrazia. Noi staremo con tutti coloro che sono disponibili a salvare questa Costituzione". Queste le parole pronunciate ieri da Rosy Bindi, presidente del PD.
Un'alleanza tra Fini, Casini, Rutelli, Bersani, Di Pietro, Vendola, Pecoraro Scanio e Diliberto ? Per fare cosa ? Con quale programma ?
Se una persona seria e rigorosa come Rosy Bindi arriva a proporre una simile enormità, significa due cose:
1) il PD è alla frutta e non sa che pesci prendere.
2) il bipolarismo italiano è in stato comatoso.
Del PD alla frutta poco ci importa, del bipolarismo italiano un po' di più.
E purtroppo duole constatare come, a differenza di quanto avviene nel resto dell'Europa, il nostro bipolarismo è assolutamente deficitario, rissoso e inconcludente.
Ma d'altro canto il problema è che in Italia i due poli non si sono aggregati sulla base di comuni ideali e valori, bensì sulla base di una scelta di "tifo": berlusconiani contro anti-berlusconiani.
E quando prevale il tifo sulla politica, i populisti trionfano: non a caso Bossi e Di Pietro tengono in scacco i rispettivi schieramenti.
Ma è chiaro che questo schema mostra la corda ed è ormai urgente ed indifferibile guardare al futuro quando, uscito di scena Berlusconi, si tornerà alla politica e al confronto su idee e contenuti: quale società, quale modello di sviluppo, quale scuola, quale politica di integrazione dei migranti, eccetera. Come avviene in Germania, Francia, Regno Unito e nel resto dell'Europa.
Dove ci si divide tra popolari e socialisti.
Lavoriamo perchè questo momento arrivi presto anche in Italia.

giovedì 2 settembre 2010

Un pò di verità sulla politica industriale

«È venuto il momento che l’Italia si dia una seria politica industriale nel quadro europeo secondo le grandi coordinate dell’integrazione europea». Giorgio Napolitano, Presidente della Repubblica.

Ma cos'è una politica industriale? Si sa, gli industriali sono allergici alla politica, la vedono come soggetto sconosciuto dalle sembianze mostruose e non molto amiche. E spesso è vero anche il contrario; cioè i politici non sono molto amici dell'industria. Quando si parla di politica industriale il pensiero corre facile a misure quali gli incentivi, gli aiuti di Stato alle grandi imprese o a specifici settori, ad iniziative di sostegno della domanda e dei consumi, ad istituti quali la cassa integrazione o la mobilità. Tutte misure "paraindustriali" che marcano semmai situazioni patologiche e non fisiologiche dell'industria, vendute dai governanti come "strumenti di politica industriale". Forse è per questo che gli industriali sono allergici alla politica.

Fare politica industriale non significa nominare un Ministro dello Sviluppo Economico. La politica industriale nasce e prende forma dentro le fabbriche, negli uffici di progettazione, nei rumorosi reparti produttivi, sui tavoli attorno ai quali si riuniscono manager ed industriali per decidere se e come investire risorse, quali e quanti beni produrre, quali e quanti lavoratori necessitano.

Gli industriali si fanno politica da sè.
Semmai hanno bisogno che la politica dia a loro condizioni di contesto idonee e favorevoli. Cito in questa sede solo due elementi: la cultura del lavoro industriale, le infrastrutture.
Anziutto si fa politica industriale se si favorisce la diffusione della cultura del lavoro industriale. Il lavoro nelle aziende industriali ha caratteristiche precise, orari, metodi, tempi, ritmi, tensioni, particolari. La vita di fabbrica e l'ambiente di fabbrica sono molti particolari. Fare politica industriale significa anzitutto favorire la presenza dei lavoratori all'interno di questo ambiente, facendone cogliere le sue caratteristiche peculiari senza avere la minima pretesa di snaturarne o omologarne i contenuti tipici.
In secondo luogo si fa politica industriale consentendo alle industrie di stare nel mondo globale restando dove sono. Saronno dista da Busto Arsizio pochi chilometri, ma è possibile impiegarci più di trenta minuti per percorrere questa distanza? Politica industriale significa merci che si spostano, persone che si spostano, macchine che si spostano. L'industria è sempre in movimento, quando le merci si fermano i cancelli si chiudono. Auguriamoci pertanto di avere sempre problemi di spostamento da risovlere e da girare alla politica.

Credo quindi che la questione non sia tanto la mancanza del Ministro.
L'industriale produce e vende i suoi beni a prescindere dall'esistenza di un Ministero dello Sviluppo Economico. Per fortuna. Se la politica avesse davvero interesse a favorire e rilanciare l'industria nel nostro Paese sentiremmo campagne formative nelle scuole che illustrano e spiegano come si lavora nelle fabbriche, avremmo condizioni infrastrutturali adeguate, avremmo maggiore disponibiltà di profili professionali specializzati di cui le industrie, quelle italiane, continuano ad avere bisogno. Per fortuna.

Pietro Insinnamo