Sei interessato a discutere di società e politica? Qui puoi farlo con noi e con chi lo desidera. Con il solo limite del rispetto reciproco. Augusto, Mario, Mattia, Maurizio e Pietro ti danno il benvenuto.

venerdì 23 aprile 2010

Ricerca della verità e libertà (anche nella Chiesa)

Ricerca della verità e libertà hanno molto a che fare l’una con l’altra, in ogni campo della convivenza umana.

È vero per l’arte, la cultura e la scienza: non si raggiungono alte vette espressive, non si esplorano a fondo i meandri dell’animo, non si sondano le leggi costitutive dell’universo se non si è liberi di sperimentare e cercare.
È vero nel campo dei rapporti sociali. Senza libertà, giocata nell’eguaglianza e nel rispetto dei diritti di ognuno, nessun uomo può mostrare agli altri il suo reale volto. E probabilmente vivremmo ancora in un mondo di appartenenze e ceti prescritti alla nascita: un mondo di maschere, dove non ci sarebbe nemmeno concesso decidere quale maschera indossare.
Ambiente di lavoro, famiglia, scuola: oggi possiamo scegliere cosa vogliamo essere e lottare per diventarlo. A guidarci è la ricerca di un’espressione personale più vera e completa. Ricerca che nemmeno inizierebbe se non avessimo ormai radicato dentro il sentimento della nostra libertà. Una libertà costitutiva, definitiva e incoercibile. Una libertà da uomini.

Di tante osservazioni connesse alla tempesta che in queste settimane coinvolge la Chiesa, voglio proporne una attinente alle affermazioni appena fatte.
Non ho motivo di credere che a Roma la ricerca della verità sia possibile, completa e autentica se non accompagnata dalla libertà delle persone che la praticano e del sistema in cui quelle persone agiscono.
Tanto meno credo che, in assenza di tale libertà, la ricerca della verità possa diventare patrimonio dell’intera comunità dei fedeli e dunque “metodo” condiviso per una Chiesa più ricca e feconda.

Questa libertà attualmente non c’è. Non c’è perché il funzionamento della Chiesa si basa su una tradizione bimillenaria che va in direzione opposta. Essa è fondata sull’obbedienza, sul culto della riservatezza e del segreto curiale, sull’ossequio gerarchico, sulla lotta contro ogni voce dissidente, sull’autorità del dogma.
Questi fattori hanno contribuito in misura determinante all’eccezionale longevità della Chiesa stessa ma hanno poco a che vedere con la ricerca di una verità autonoma sulle cose dell’uomo. Sono anzi suoi nemici dichiarati, da sempre: e oggi la verità ufficiale che scende dall’alto non è più sufficiente a tenere coesa l’assemblea dei credenti.

Uomini e donne pretendono da chi li governa un rendiconto delle loro azioni. Questa pratica si chiama democrazia ed è, in politica, ciò che più si avvicina alla realizzazione del principio sopra esposto.
La libertà di scegliersi i governanti è strettamente connessa al compito di questi ultimi: cercare la verità di rapporti sociali più autentici e soddisfacenti per tutti. Dove manca tale libertà, il potere spesso si arrocca in un angolo, con conseguenze deleterie e non di rado tragiche. E pur con tutte le sue brutture, la democrazia è al momento il meglio che abbiamo a disposizione per praticare una libertà degna di questo nome.

Nella Chiesa non c’è democrazia. Alla Chiesa la democrazia serve. Non solo perché viviamo in un’epoca che ha fatto a pezzi il principio gerarchico e dell’insofferenza contro l’autorità un tratto costitutivo. Le serve, molto di più, per dare purezza e autorevolezza al messaggio di Cristo. In pericolo non è, non è stata e non sarà l’esistenza della Chiesa, che è solo messaggera. In pericolo è il messaggio. Le gerarchie ecclesiastiche devono abbracciare la libertà, perché solo una maggiore libertà nella pratica pubblica dei loro compiti permetterà alla Chiesa di incarnare credibilmente il ruolo affidatole da Cristo.

Concludo con una richiesta ai fedeli cattolici. Si facciano sentire. In queste settimane abbiamo ascoltato e visto vescovi e conferenze episcopali fare coming out sulla questione pedofilia. Hanno parlato perché sapevano che la società non avrebbe tollerato ulteriormente il silenzio. E con questa concessione all’opinione pubblica hanno ancora una volta salvato il sistema verticistico di cui fanno parte.
Ma i veri autori della Chiesa sono i fedeli e i fedeli mantengono un clamoroso silenzio. Per conoscenza diretta di sacerdoti e credenti so quanto sia scomodo per molti l’attuale momento e indigesto il comportamento delle gerarchie. Perché questi credenti non parlano? Perché nessun fedele scrive sui muri che sviare, sminuire e mistificare sono contro Cristo? Perché nessuno si alza in chiesa, la domenica, e grida che anche a Roma è possibile una rivoluzione?

3 commenti:

  1. Alcuni, con il termine libertà, intendono quei valori che la democrazia promette, come ad esempio la libertà di parola. Per altri libertà significa prendere l'auto o l'aereo per recarsi in un'altra nazione. Alcuni, per libertà, intendono la possibilità di svincolarsi da tutte le leggi fino a teorizzare il diritto all'anarchia. Altri ancora credono che la vera libertà consista nel fatto che ognuno sia libero da ogni responsabilità. Poi ci sono ancora coloro che con il concetto di libertà vogliono svincolarsi da ogni riferimento etico terzo a se stessi.

    Per Aristotele, la libertà (privilegio dei cittadini greci), significava abbandonarsi all'ozio sulle spalle degli schiavi. Nel XVI secolo, le prostitute erano definite «donne libere». Rousseau non aveva torto quando affermava: «L'uomo è nato libero eppure giace ovunque in catene.» Per il riformatore Martin Lutero la libertà significava «farsi servi volontariamente ».
    Maurizio, che dice di non credere in Dio e di nutrire fede alterna nell’uomo, ci ricorda, in buona sostanza, una frase di Gesù: «Se rimanete fedeli alla mia parola, sarete davvero miei discepoli; conoscerete la verità e la verità vi farà liberi». Per il cristiano quindi la libertà è frutto della verità rivelata dal Verbo di Dio. In quanto alla Chiesa, tutta la Chiesa, fedeli e gerarchia, e al rischio che venga spazzata via da qualche intemperie morale o materiale, ricordiamo il notissimo «non praevalebunt».

    Certo, guardando alla bimillenaria storia della Chiesa, viene da dire che, in più di un’occasione, il messaggio di Cristo si è diffuso tra gli uomini nonostante la gerarchia e nonostante coloro che già si dicevano credenti. Ma poi, guardando con più attenzione ci si rende conto che anche (proprio) quei periodi bui (medioevo) sono stati quelli che hanno visto la presenza di grandi testimoni della fede. Di grandi riformatori; di grandi santi.

    Tutto ciò nulla toglie al tema del rapporto tra organizzazione della Chiesa e democrazia. A volte tormentato. Non sempre in linea con l’evoluzione della sensibilità sociale. Altre volte anticipatore di innovazioni epocali come fu il Vaticano II.

    Ma non assocerei queste riflessioni al dramma della pedofilia. Che merita sicuramente un discorso a parte.

    RispondiElimina
  2. L'intervento di Maurizio mi sembra lucido e stimolante. Fa bene, a mio avviso, a richiamare l'idea di democrazia come partecipazione. Anch'io, da credente, penso che di questa democrazia ne abbia bisogno anche la Chiesa. Infatti, uno dei guadagni più citati - e ancora solo in parte realizzati - del Vaticano II è la sottolineatura del ruolo attivo dei laici nella Chiesa, definito indispensabile per la ricerca di "santità" che è la sua missione.
    Si fa parte della Chiesa per fede e la fede è possibile solo se libera. Si è davvero liberi se si accetta la fatica di essere veri, dialogando con gli altri a proposito delle proprie esperienze, rafforzandosi reciprocamente e, se necessario, correggendosi reciprocamente. E questo anche nel campo della fede, che è, oltre tutto, continua ricerca.
    Dei credenti, che proprio in quanto credenti, prendano la parola - senza violenza, ma con fermezza - contro comportamenti e coperture che poco hanno a che fare con il vangelo sono una benedizione, per la Chiesa, non un problema.
    In Galati 2,11 San Paolo scrive: "Quando Cefa [cioè Pietro, il capo degli apostoli, oggi il papa] venne ad Antiochia, mi opposi a lui a viso aperto perché aveva torto". Paolo non affrontò Pietro, in quella circostanza, per porre disordine nella Chiesa o per fondare un suo movimento o per qualsiasi altro capriccio. Lo fece, come potete leggere nel seguito di quella pagina, perché riteneva che il comportamento di Pietro danneggiava il vangelo, cioè, per un credente, la verità.
    Questo atteggiamento di Paolo oggi lo chiamiamo democrazia: partecipazione responsabile e rispettosa al dibattito pubblico con la propria parola e azione; una partecipazione motivata dalla ricerca del bene comune.
    In questo senso, democrazia e servizio al vangelo mi sembrano non solo compatibili, ma coessenziali.
    Il problema, a mio avviso, è semmai che oggi, purtroppo, la grande maggioranza dei credenti è ignorante, cioè non sa in cosa crede e non saprebbe renderne ragione né in un dibattito pubblico (come raccomanda l'autore della prima lettera di Pietro 3,15) né all'interno della Chiesa. E di questa ignoranza io ritengo gravemente responsabili le gerarchie, che dovrebbero molto più dedicarsi all'approfondimento della fede con chi ne è interessato (un esempio positivo: Martini, mai abbastanza rimpianto, in questo senso).
    E dove c'è ignoranza, non può esserci democrazia... ma neppure Chiesa, almeno se si vuole una Chiesa viva, ricca, come la vuole il Signore ("Conoscerete la verità e la verità vi farà liberi").
    Di conseguenza sono possibili errori, tipo quello di far intendere che esista una giustizia degli uomini (cioè dello Stato) e una giustizia di Dio (cioè della Chiesa). Errore: per la Bibbia e per i padri della Chiesa esiste una sola giustizia e i credenti, quindi, non sono esentati dalla fede dal compito di costruirla insieme a tutti gli uomini, pur essendo aperti alla misericordia, mistero infinito. Ed ecco trovato il nesso tra problema della pedofilia e riflessione sulla democrazia nella Chiesa (cioè della ricerca della verità in essa), che non capisco proprio perché Airoldi non veda.

    RispondiElimina
  3. Innanzi tutto ringrazio Maurizio per la sua lucida ed interessante riflessione. Una cosa però direi, prima di cominciare: la Chiesa è sopravvissuta a due millenni di storia non perchè "fondata sull’obbedienza, sul culto della riservatezza e del segreto curiale, sull’ossequio gerarchico, sulla lotta contro ogni voce dissidente, sull’autorità del dogma", ma perchè Colui che l'ha fondata, Gesù, il suo vangelo, il suo amore sono stati più forti di ogni distorsione che, in vari tempi, e anche oggi, ha rischiato e rischia di compromettere la bellezza della Chiesa.
    Da credente, ho spesso avuto discussioni con vari preti e altre persone che interpretano la fede semplicemente come obbedienza alle gerarchie, che fanno discorsi sulla difesa della vita, contro l'aborto e l'eutanasia, e poi magari vanno a votare la Lega perchè propone di buttare nel mare gli immigrati....Hanno partecipato al Family Day e poi sono favorevoli al respingimento sui barconi ( e chissà quante donne incinta sono state rimandate in Libia)...Molti come me non stanno in silenzio quando percepiscono nella propria comunità cristiana questo modo di vivere la fede che è semplicemente un sentirsi a posto con la propria coscienza: non si ragione con la propria testa, ma per dettami. Non si coniuga la propria fede con il vangelo, ma con le dichiarazioni sulla stampa di questo o di quell'altro.
    Ma credo che non è scrivendo sui muri o gridando in Chiesa che si risolverà qualcosa. La fede, quella vera, si vive sul proprio posto di lavoro, nei vari impegni politici e sociali, nella propria quotidianità ogni volta che si declina il Vangelo di Gesù nelle varie vicende della vita. Il problema è che il Vangelo con la V maiuscola lo lasciamo sul nostro comodino a prendere la polvere....e nella nostra esistenza viviamo il Vangelo secondo Bertone, il Vangelo secondo Bagnasco, il Vangelo secondo Fisichella....Oltre a un ritorno al Vangelo, sarebbe poi necessario un ritorno al Magistero, quello con la M maiuscola: perchè è una cosa vergognosa che ogni uscita sulla stampa venga intesa come magistero della Chiesa.Il Magistero è altro e se lo studiassimo con attenzione, scopriremmo che lì c'è la vera Chiesa.
    C'è davvero molta ignoranza, come notava Luca Crippa: ma a tutti fa comodo, ai credenti e alle gerarchie perchè permette di assicurare agli uni la pace con la propria coscienza, agli altri l'obbedienza e il mantenimento della propria posizione. Peccato che tutto questo apra la strada a una delle colpe più dimenticate: l'omissione. Chi ormai confessa il peccato di omissione? Eppure, è proprio questo il peccato che più ha scandalizzato nel terribile dramma della pedofilia. Perchè, se è male ciò che alcuni preti hanno compiuto, è ancora più male averlo nascosto, omettendo di fare tutto ciò che era possbile per risanare la piaga aperta da un crimine così grave.
    Andava fatto ogni tentativo non per coprire i pedofili, ma per aiutare con ogni sforzo i bambini violentati a recuperare la propria dignità.
    Io credo che la Chiesa abbia bisogno di un profondo rinnovamento. Forse ci vorrebbe un nuovo Concilio...

    RispondiElimina