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giovedì 28 gennaio 2010

Sarkozy tra burka e Lacoste

Quindi nei luoghi pubblici della République niente burqa.

E non perchè, come direbbe Maroni il padano, rappresenta un rischio per la tanto agognata sicurezza (mica si può mettere un body scanner all’ingresso di ogni autobus!).

Ma perchè infrange i valori fondanti della civile convivenza repubblicana tra francesi. Quindi indossare il burqa renderebbe la Republique meno Indivisible, laïque, démocratique, o sociale?

Manco a dirlo il valore compromesso sarebbe quello della laïcité, perchè il burqa è assimilato dal legislatore d’oltralpe al simbolo di una religione: quella Islamica.

Ci domandiamo: capiterà mai che il medesimo legislatore considererà pure il coccodrillo Lacoste simbolo di una religione, quella del consumismo ? Peraltro ben più diffusa in Francia (e non solo) di quella islamica ? Scommetto di no. La « guerra dei simboli religiosi » si fermerà ben prima dei miliardi di Euro che la nota marca di abbigliamento rende alla République. Laïque, naturellement!

In quanto al nostro Paese ne vedremo presto delle belle in merito. Pare stia per occuparsene il ministro Carfagna. Una che di veli (pochi) ha lunga esperienza.

lunedì 25 gennaio 2010

La lezione di Nichi

Nichi Vendola ha meritatamente vinto le primarie impartendo al nostro partito, e non a Francesco Boccia, una dura lezione che non può più essere ignorata'. Anche la più razionale delle strategie politiche non può essere calata dall'alto e non può essere attuata ignorando i sentimenti di rispetto e di affetto delle persone nei confronti di quei pochi politici che nel bene e nel male sono sintonizzati con il senso comune. Questa e' la lezione che tutto il Pd deve apprendere e trasformare nello spirito col quale affrontare la prossima campagna elettorale”.

Queste parole di Michele Emiliano, presidente del PD pugliese, mi sembra fotografino bene una situazione ancora troppo diffusa nel mio partito. Dove una nomenclatura che si ritiene illuminata tenta di perpetuare se stessa imponendo candidati che elettori e simpatizzanti non capiscono e rifiutano. Piuttosto che lavorare a programmi condivisibili.

Con le dovute proporzioni, l’iter che la segreteria provinciale di Varese ha adottato per la formazione delle liste alle prossime regionali, condivide con la Puglia errori di metodo e merito. Anche qui nessun ascolto della base, se non per chiamarla a completare scelte sostanzialmente già preconfezionate.

Purtroppo ci si attarda in queste piccolezze. E il progetto originario di un grande partito di centrosinistra, nato per dare un futuro migliore a ciascuno di noi, fatica a decollare. Nonostante la base, quando consultata, lo chieda a gran voce. Come in Puglia.

Insegnerà qualcosa la lezione di Nichi?

Se il partito cambia … cambia partito (di Mattia Cattaneo)

Il PD di Bersani è nato all’insegna della discontinuità rispetto al PD di Veltroni. Abbandonata l’idea ambiziosa ed affascinante del partito a vocazione maggioritaria, che sottendeva la volontà di rappresentare una porzione di società più ampia di quella storicamente collocata a sinistra, il PD di Bersani prevede, al contrario, la rinuncia a tale “vocazione” e la ricerca di nuove alleanze per sconfiggere la destra. In quest’ottica l’interlocutore privilegiato del PD bersaniano è diventato Casini, con la sua UdC; e a riprova del fatto che l’orizzonte strategico del PD sia l’alleanza con l’UdC, Bersani ha ribadito la validità di tale progetto ancora oggi, all’indomani del tracollo del PD alle primarie pugliesi, nelle quali il candidato democratico Boccia è stato surclassato da Vendola.
Non voglio qui discutere sul merito di tale strategia, se cioè essa sia valida o meno, se Casini sia l’interlocutore adatto oppure no.
Certo però un simile disegno strategico muta profondamente il “progetto PD” rispetto al 2007. L’individuazione di Casini e dell’UdC quali interlocutori privilegiati per costruire un nuovo centro-sinistra implica, nei fatti, che il PD di Bersani ritiene che il proprio compito sia dare rappresentanza al variegato mondo della sinistra (frazionatosi dopo la caduta del muro in tante sigle) e che spetti invece all’UdC catturare il voto degli elettori che non sono di sinistra, ma che non vogliono consegnare l’Italia nelle mani del populismo berlusconian-leghista.
Il PD si occupa dei progressisti, l’UdC dei moderati: insieme per sconfiggere il populismo della destra.
Questo è lo schema di gioco del PD di Bersani.
Ma, se è così, chi non proviene dalla sinistra post-comunista, cosa ci sta a fare nel PD ? Meglio, molto meglio, seguire lo schema di gioco di Bersani e cambiare partito; cosa che infatti stanno facendo in tanti.

Mia madre e il vecchio mondo

La morte di mia madre, avvenuta il 4 gennaio, mi colpisce per tanti motivi. Eccone uno molto particolare.

Mia madre nasce nel 1935 e cessa di vivere a settantacinque anni. Di ottima famiglia, cresce insieme alle tre sorelle sotto l’ala protettrice dei genitori. Terminate le magistrali smette di studiare, preparandosi al matrimonio. E a ventisei anni convola a nozze con mio padre. In poche parole, passa direttamente dalla potestà paterna a quella maritale, che rispetta per il mezzo secolo successivo. Non sperimenta mai un giorno di completa indipendenza. Non lavora mai nemmeno un’ora. A tutto provvede mio padre, e a lei va bene così. Di carattere autoritario, in casa è abituata a farsi obbedire. All’esterno perde l’orientamento e per qualsiasi bisogno, fosse pure la carta più semplice, si affida al marito. All’occorrenza, sa cavarsela da sola. Tra il ’69 e il ’70, mio padre passa un anno in sanatorio per la tubercolosi e lei manda avanti la famiglia con bravura. Ma è uno stato eccezionale, non la norma. La norma è questa: lei si occupa della casa, lui del sostentamento coniugale e filiale.

Molte, se non quasi tutte le donne della generazione di mia madre, hanno vissuto in questa maniera. Specie nelle terre dalle quali vengo e nel meridione d’Italia. L’emancipazione della figura femminile è maturata dopo, per chi aveva meno anni. Per la donna che nasce nel 1935 vivere sotto tutela è fatto ordinario.

Più della globalizzazione, più dei voli low cost e del turismo di massa. Più dell’i-Pod e dei netbook, della televisione satellitare e dei crack finanziari planetari. Più del mio divorzio e della mia mobilità lavorativa. Più di tutto questo, la morte di mia madre segna per me la fine del vecchio mondo e il passaggio al nuovo. Con lei vedo sparire l’ultimo pezzo della società che mi ha generato, e che ormai non c’è più.

Mia madre ha mal tollerato il mondo e le sue evoluzioni negli ultimi venti anni. Non capiva perché nessuno volesse più obbedirle. E perché nessuno si attenesse più alle poche e salde regole che avevano guidato la sua esistenza. Questo disagio, questa cattiva sopportazione confermano la voce popolare. È difficile cavalcare l’onda dei propri tempi. Ma ancora più difficile, se non impossibile, è entrare in sintonia con chi ci precede e con chi viene dopo di noi. Il tempo concessoci per seminare del buono è breve. Non buttiamolo al vento.

venerdì 15 gennaio 2010

le "secondarie"

Che il mio partito, il PD, abbia qualche problema quando deve applicare le regole che si è dato per quanto attiene le primarie, è purtroppo un fatto acclarato e non sorprende più alcuno. La presidente Rosy Bindi ne richiama ripetutamente l'importanza. Forse meriterebbe più ascolto.

Sorprende invece, fino allo stupore, la fantasia della segreteria provinciale varesina. Dove sembra si siano inventati le “secondarie”. Che si sostanziano nel seguente iter: 1) tappezzare le principali città della provincia con manifesti recanti il nome di qualche candidato PD alle prossime elezioni regionali: evidentemente i candidati “primari”; 2) chiedere ai circoli PD della provincia di indicare altri nomi a completamento delle liste: evidentemente i candidati “secondari”. Ciamiamoli gli sherpa.

La legge elettorale che ha introdotto alle politiche le liste bloccate è stata marchiata dal suo autore con un aggettivo non particolarmente raffinato. Come definire allora la scelte di liste quasi bloccate?

A volte ritornano

Sotto l’albero di Natale (chè dire ai piedi del Presepe mi parrebbe irriverente) i saronnesi hanno trovato una sorpresa. Quanto gradita si vedrà. Pierluigi Gilli si ricandida a Sindaco. Ma è vera sorpresa?
La scorsa estate, le elezioni a Sindaco della città furono vinte dal candidato del centrosinistra Luciano Porro. Così non fu per i consiglieri comunali: infatti 14 andarono al centrosinistra e 16 al centrodestra. Questi ultimi esercitarono il loro diritto alle dimissioni simultanee causando lo scioglimento del Consiglio comunale. Con quali conseguenze per la città, è sotto gli occhi di tutti. Ma questa è un’altra storia. Il più determinato (interessato?) nel sostenere questa scelta fu, per l’appunto, Gilli, allora fuori dai giochi per aver già amministrato la città per 10 anni consecutivi. Con quali conseguenze è sotto gli occhi di tutti. Ma anche questa è un’altra storia.
Ora Gilli si ricandida. Non più con i suoi storici amici ed alleati, ma in netta contrapposizione ad essi e dentro un nuovo quanto sconosciuto partito. Sarà interessante capire (e raccontare) i motivi del palesarsi di questa cesura che per mesi aveva già paralizzato il pallido operare dell’ultima sua amministrazione. Per ora ci interessa, però, un’altro aspetto. Perché Gilli si ricandida con una modalità che molto difficilmente lo porterà a ridiventare Sindaco? Ipotizziamo anche una risposta: per spirito di servizio.
Già, ma a chi? Alla città o a se stesso?

domenica 10 gennaio 2010

Sostenere la Bonino? Un errore

Si discute molto in questi giorni attorno al sostegno del PD alla auto-candidatura di Emma Bonino alla presidenza della regione Lazio. E sembra che tutto ruoti attorno alla sua accettazione da parte della componente cattolica del partito. Ma è veramente così?
Se mi chiedete un giudizio politico su Emma Bonino rispondo che è persona seria, competente. Onesta. E oggi non è poco. Se mi chiedete se la voterei per alla presidenza di una regione, rispondo no.
Se mi chiedete il perché, rispondo che non mi sento rappresentato da lei e tantomeno dal partito nel quale milita da sempre. Faccio due esempi. Il partito Radicale, in economia, non fa mistero del suo iper-liberismo; nel modello di relazioni sociali non nasconde il suo iper-individualismo. Nulla di più distante dalle mie convinzioni: economia sociale di mercato e solidarismo comunitario. E, ne sono certo, nulla di più distante dai valori del PD che a queste mie convinzioni ritengo molto vicino. Diversamente non lo avrei scelto. Non per nulla uno studio dell’Istituto Cattaneo dimostra come, alle recenti elezioni europee, i Radicali hanno raccolto molti più voti a destra che non nel centrosinistra. Con i Radicali ritengo quindi possibile condividere battaglie su singoli punti anche qualificanti, non delegare loro la guida di una regione.
Almeno per questi motivi il PD non può scegliere di appoggiare la Bonino. Senza scomodare le diverse sensibilità tra credenti e non. La mancata effettuazione delle primarie è sicuramente un vulnus non trascurabile. Ma nel caso Bonino mi sembrano prevalere considerazioni di merito come quelle che ho esposte. Se il PD la scegliesse dimostrerebbe che la ricerca di una sua identità è ancora all’inizio. E sarebbe davvero un peccato.
Certo l’auto-candidatura della Bonino é conseguenza della agonica situazione del PD nel Lazio. Certo ci sono i problemi relativi alle alleanze anche in altre regioni e le scelte a livello nazionale che sicuramente influiscono e che non possono essere trascurate. Ma dopo il disastro che stiamo combinando in Puglia (li le primarie sono sicuramente necessarie) e la scelta al ribasso effettuata in Lombardia, perché nel Lazio perdere l’identità oltreché le elezioni?
E poi, nel PD, non mancano esponenti che nulla hanno da invidiare alla serietà, competenza e onestà della Bonino. E in più rappresentano a tutto tondo il partito. Rosy Bindi o Enrico Letta sono sicuramente due di questi.

sabato 9 gennaio 2010

La crisi non è finita

Prima della crisi: l'auspicio tradito.
Quindici mesi fa sostenevo che la crisi economica avesse soltanto natura finanziaria, al massimo con qualche escursione di natura creditizia oltre oceano. Il sistema economico europeo e in particolare italiano si basa sull'industria, la nostra è ancora una economica prevalentemente di trasformazione e di natura produttiva in senso stretto, e solo relativamente marginalmente di tipo finanziario e immateriale. Quindi, pensavo, gli effetti della crisi si fermeranno al sistema finanziario, non toccheranno le industrie. Gli impiegati e gli operai non rischieranno niente. Mi sbagliavo. La crisi ha investito il settore manifatturiero poichè, erodendo la disponibilità di spesa, ha ridotto i livelli di consumo contraendo la domanda.

Presagi di realismo: la crisi non è finita.
Tralasciamo la grande questione del modello di sviluppo, troppo complessa per essere affrontata in questo spazio. Il nostro Paese ha tamponato gli effetti sociali della crisi ricorrendo agli ammortizzatori, strumenti inventati nei vituperati anni settanta e ottanta (gli anni del centrosinistra democristiano), che tra i tanti torti ci hanno lasciato in eredità la dote della cassa integrazione. Oggi tutte le parti sociali e politiche fanno a gara per chiedere maggiori risorse per gli ammortizzatori sociali. E fanno bene. Certamente il sistema dello stato sociale è da riformare, a partire dalle pensioni per arrivare all'assistenza e alle prestazioni a sostegno del reddito. Ma sicuramente la fase acuta degli effetti della crisi non è esaurita: molte aziende sono arrivate al massimo di utilizzo della cassa integrazione, quindi o i consumi tornano ai livelli ante crisi, oppure queste aziende dovranno ridurre fortemente il personale. Licenziamenti collettivi.

Durante la crisi: un nuovo auspicio.
Si dovrà molto riflettere sul modello di sviluppo per il futuro, ma nelle more di questa riflessione e in attesa che la stessa partorisca un modello alternativo qulacuno dovrà gestire gli effetti dell'attuale modello. In altri termini, la crisi non è finita. Mercato del lavoro e sistema industriale devono allearsi per gestire la fase più critica. Serve da un lato la presa di coscenza che il sindacalismo del novecento è superato, non è più tempo di "lotte" e di "battaglie" e di "dimostrazioni di forza" ma di collaborazione e responsabilizzazione; dall'altro lato una maggiore consapevolezza collettiva del ruolo che la piccola e media impresa svolge nel tessuto economico e sociale del Paese, sia in termini di contribuzione al Pil, sia soprattutto in termini di collettore tra lo sviluppo economico e le dinamiche sociali a livello locale. Troppo spesso la piccola e media impresa viene considerata come una realtà industriale di second'ordine sia nelle scelte di politica economica che nell'opinione pubblica, dimenticando che assorbe complessivamente più addetti della grande industria. E' altrettanto vero che da parte delle piccole e medie industrie deve ancora maturare compiutamente una "coscenza sociale e collettiva", ovvero una piena presa di coscenza del loro ruolo sociale, soprattutto a livello locale. Questa maturazione potrà essere meglio raggiunta se le forze sociali e politiche sapranno focalizzare le migliori attenzioni sulle esigenze delle medie imprese.

sabato 2 gennaio 2010

Giulio, Emma e il matrimonio dell’anno

Tranquilli: niente gossip. Questo è un blog tendenzialmente serio.
Lei è la presidente di Confindustria. Lui il ministro dell’economia, nonché suo uomo… dell’anno. Così, infatti, lo ha definito il “Sole 24Ore”, paludato quotidiano di cui Confindustria è l’editore.

Dice l’articolo, pubblicato il 31 Dicembre 2009, che le firme del giornale hanno eletto Giulio Tremonti uomo dell’anno dopo aver a lungo discusso e “vagliato tanti nomi, tutti autorevoli e sostenuti da eccellenti ragioni”. Di Tremonti, il Sole, loda l’aver saputo tener fermo il timone italiano nella tempesta della peggior crisi economica. E, soprattutto, l’aver “recuperato circa 95 miliardi di euro con lo scudo fiscale”.

Tremonti, si sa, milita nel partito dell’amore, il cui leader, ancorché sul viale del tramonto, è Silvio Berlusconi. Già, ma cosa ama Giulio? Vediamo.
Con il citato scudo fiscale il ministro dice di aver riportato in Italia quasi 100 miliardi di euro. E si gloria di aver fatto incassare all’erario quasi 5 miliardi freschi freschi. In realtà ha consentito a molti evasori di mettersi definitivamente in regola preservando l'anonimato e versando alle casse dello Staro meno del 10 per cento di quanto avrebbero dovuto pagare. Così facendo ha causato danni ingenti all'erario, che ha dovuto rinunciare a recuperare ben 45 miliardi dalla lotta all'evasione. E che, prima o poi, dovrà rifarsi su di voi e di me, che le tasse le abbiamo sempre pagate. Ce n’è a sufficienza per chiedere l’intervento della Corte dei conti. Oltre che le dimissioni di Tremonti.
Salvo smentita, sembrerebbe dunque che il vero amore del ministro sia l’evasione fiscale. Già, ma se così fosse, cosa c’entrerebbero Emma e il suo giornale? Come dite? Gran parte dei beneficiati da Giulio (gli scudati) hanno Emma for president? Adesso capisco! Allora è tutto più chiaro: quello tra Emma e Giulio è un normalissimo matrimonio d’interessi. Meglio: il matrimonio … dell’anno.

Come avete visto, niente gossip. Solamente la solita farsa all’italiana. Che, peraltro, non sembra scandalizzare più di tanto nemmeno le opposizioni. E questo, più che una farsa, è una tragedia.