Traggo dal mercato la notizia che, a pochi mesi dal lancio in sala, esce in dvd Barbarossa. Nonostante il titolo, il film di Renzo Martinelli appunta la sua attenzione su Alberto da Giussano, il milanese che secondo la leggenda guidò i lombardi alla rivolta proprio contro Federico I di Svevia, alla metà del XII secolo. E culmina nella rappresentazione della battaglia di Legnano del maggio 1176, quando i Comuni sconfissero l’odiato Teutone e riaffermarono la propria libertà.
Il film è costato 30 milioni di euro e in sala ne ha incassato appena uno. Non si sa se le spese di produzione verranno riassorbite attraverso la vendita dei diritti per l’home video e la trasmissione televisiva in chiaro. Un esito tanto più eclatante se si pensa al lancio spinto che della pellicola fecero lo scorso anno Bossi e l’intero stato maggiore leghista. Del leader le cronache riportarono pure le lacrime d’emozione, tanto rimase colpito dalla potenza della rievocazione storica. Ma i verdi caporioni padani sono stati gli unici a lasciarsi ammaliare da un film discusso, appunto, più per i retroscena politici che per i meriti artistici. Bossi e i suoi ci volevano proprio credere. Il popolo delle valli non si è fatto irretire dalla retorica celtica. Il resto d’Italia ha guardato da un’altra parte. È la dimostrazione che la “gente” non si lascia irreggimentare tanto facilmente. Neanche la “nostra gente”.
Nel 1934, Mussolini diede al pubblico Camicia nera, di Giovacchino Forzano. Narrava, con toni epici e propagandistici, la storia degli anni corsi tra la Prima guerra mondiale e la presa del potere fascista, attribuendo al Duce il merito di aver rimesso in sesto l’Italia. L’Istituto Luce spese per la realizzazione del film l’iperbolica cifra di 3.813.000 lire, ma la resa al botteghino fu disastrosa. Quell’anno, paradossalmente, il film di maggiore successo nel nostro paese fu La febbre dell’oro di Charlie Chaplin, aborrita produzione americana per la quale vennero staccati quattro milioni e mezzo di biglietti. Il pubblico scelse, anche allora, anche in condizioni tanto difficili. Bossi e i suoi ripassino la storia. Almeno quella della settima arte.
sabato 13 febbraio 2010
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Non so, Maurizio, se inquadrare il tuo post tra quelli che parlano di cinema o tra quelli che affrontano, da una angolatura originale, il tema del condizionamento e della libertà di scelta dell'opinione pubblica. Io non mi intendo di cinema e quindi opto per la secondda opzione. Vuoi forse dire che oggi come allora gli italiani sono meno influenzabili di quanto si creda? Forse in parte è così. Però temo che l'esempio del cinema non calzi a pennello: 90 anni fa andare al cinema era un lusso per pochi, oggi non è più un lusso ma resta una passione per pochi. Nel senso che il grande comunicatore di massa è la televizione e, ancor di più, internet. Berlusconi ha stabilito che la campagna elettorale del PDL sarà fatta di pochi comizi e di tanta, tantissima pubblicità televisiva. In fondo con questo strumento ha costruito, mantenuto e incrementato il suo consenso. Oggi siamo già nell'era post-televisiva. Basta andare su qualsiasi testata elettronica per visionare banner e link di candidati alle elezioni. Insomma, c'era una volta il comizio, la tribuna politica, il giornale di partito. Ci sono oggi i banner, i blog, gli spot. All'uso del cine come mezzo di propaganda personalmente non credo. Faccio l'esempio recente di due grandi flop cinematografici, annunciati come rivoluzionari degli equilibri politici e sorpatattuto come incubatori di una nuova cultura popolare alternativa a quella dell'area di governo, e poi dimenticati (probabilmente non a caso) in fretta: Il Caimano e 11 Settembre. Non sono un estimatore della politica dei sondaggi e del consenso, ma non posso negare che fare politica oggi significa anche stabilire un canale continuo e costante di comunicazione con l'opinione pubblica, una sorta di processo osmotico senza soluzione di continuità. In questo bisogna ammettere che Berlusconi è stato innovativo, cioè nel modificare il concetto di propaganda di sistema in comunicazione di massa. La nuova frontiera, direi la terza fase della evoluzione della comunicazione politica, sarà quella della comunicazione CON la massa, o meglio con la RETE.
RispondiElimina