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giovedì 11 febbraio 2010

Capitale umano e piccole imprese: il rilancio parte dal territorio

Introduzione al tema: lo sviluppo economico
Prima che le campagne elettorali incombenti catturino la scena voglio intervenire su un argomento a me caro, già affrontato in un precedente post di qualche settimana fà. Mi riferisco al tema dello sviluppo economico, declinato nella sua accezione di questione socio - politica e non certo di tematica politica - economica, non essendo il sottoscritto un economista. La precisazione non è di second'ordine.

Lo sviluppo e la variabile tecnologica
Matteo Colaninno in un'intervista pubblicata dal Sole 24 Ore il 12 gennaio sostiene che "una media-grande impresa che produce beni di consumo finali attraverso la logica delle forniture globali resta sul mercato. Una piccola che produce beni intermedi rischia di rimanere schiacciata, dovendo competere su prezzi e qualità con l'offerta globale". Mi permetto di dissentire. La produzione di beni intermedi (componentistica, utensileria, imballaggi, ecc...)non è strategicamente condannata a soccombere nella morsa del binomio prezzi - qualità. Certamente queste due variabili competitive giocano un ruolo determinante nella comparazione tra economie di Paesi diversi in una scala globale. Tuttavia non hanno un ruolo esclusivo. Colaninno non considera nella sua analisi due variabili competitive di rango strategico: la professionalità e la tecnologia. In particolare la tecnologia costituisce un fattore critico di successo che consente di perseguire obiettivi di efficienza e qualità. Le PMI italiane pullulano di tecnologia e, in non pochi settori anche se non in tutti, anche di eccellenze professionali.

Lo sviluppo e la variabile professionale
La riflessione sulla professionalità è forse più complessa e, per certi aspetti, più interessante. Il modello di sviluppo italiano è basato, fin dal Medioevo, sulla professionalità, sul saper fare, su una indomita indole a mettere a frutto e realizzare idee, slanci, intuizioni. Lo dice Fabi sempre sul Sole (31 gennaio) citando uno studio dell'Istao, che descrive l'origine della struttura produttiva del nostro Paese come "una realtà dove prevaleva una struttura sociale appoggiata a un'organizzazione produttiva in larga misura familiare e a una concezione del lavoro in prevalenza autonoma e indipendente di derivazione artigiana. In questo modo, ambiente e potenzialità imprenditoriali si fondono anche grazie al collante derivante dalle culture e dalle tradizioni. E realizzano così importanti meccanismi spontanei di diffusione locale dello sviluppo.". Vedere i percorsi di sviluppo come processi di diffusione locale dei saperi, e dei saper-fare, può aiutare a (re)interpretare la prospettiva economico-sociale del nostro Paese. Lo studio del sapere locale, inteso come professionalità che nasce e si diffonde nei territori dentro e attraverso le piccole e medie imprese, è relativamente recente, benchè la dinamica sia di antichissima origine storica (nasce nelle botteghe artigiane nell'Italia dei Comuni).

Professionalità e Territori: il rilancio dello sviluppo
Siamo al dunque: io credo che Colaninno sbagli nel prefigurare un sistema economico mondiale fatto solo di grande scala, solo di grande dimensione, solo di grandi capitali, solo di grande finanza. Addirittura, e questo mi sembra al limite del demagogico, auspica un ritorno all'industria di Stato (e beneinteso, non in settori strategici per la sicurezza nazionale). Lo dice bene l'esponente Pd: "le economie che resisteranno meglio sono quelle che avranno maggiore armonia tra le diverse dimensioni delle imprese e un forte sistema finanziario [...] penso anche a un ritorno dell' industria pubblica: Eni, Enel e Finmeccanica potrebbero investire di più al Sud e supportare nuove filiere". Detto che non sono d'accordo con Colaninno resta sul tappeto la domanda di fondo: qual è la via per rilanciare lo sviluppo? Credo che lo dicano bene le parole di Carlo Carboni, prese a prestito dal suo ultimo libro La governance dello sviluppo locale: "il capitale umano unito al capitale sociale (e quindi alle relazioni di comunità) può costituire il vero vantaggio competitivo per un rilancio sostenibile dell'economia italiana". Capitale umano e capitale sociale: unione dei saperi, delle professionalità, delle competenze definiti e trasmessi nelle e tra le comunità locali, dentro e fuori le imprese che in queste comunità operano guardando al mondo. Non un nuovo nanismo o una involuzione, ma un salto di qualità capace di superare in termini di potenzialtà di sviluppo il salto di dimensione e di scala teorizzato da Colaninno.

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