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lunedì 25 gennaio 2010

Se il partito cambia … cambia partito (di Mattia Cattaneo)

Il PD di Bersani è nato all’insegna della discontinuità rispetto al PD di Veltroni. Abbandonata l’idea ambiziosa ed affascinante del partito a vocazione maggioritaria, che sottendeva la volontà di rappresentare una porzione di società più ampia di quella storicamente collocata a sinistra, il PD di Bersani prevede, al contrario, la rinuncia a tale “vocazione” e la ricerca di nuove alleanze per sconfiggere la destra. In quest’ottica l’interlocutore privilegiato del PD bersaniano è diventato Casini, con la sua UdC; e a riprova del fatto che l’orizzonte strategico del PD sia l’alleanza con l’UdC, Bersani ha ribadito la validità di tale progetto ancora oggi, all’indomani del tracollo del PD alle primarie pugliesi, nelle quali il candidato democratico Boccia è stato surclassato da Vendola.
Non voglio qui discutere sul merito di tale strategia, se cioè essa sia valida o meno, se Casini sia l’interlocutore adatto oppure no.
Certo però un simile disegno strategico muta profondamente il “progetto PD” rispetto al 2007. L’individuazione di Casini e dell’UdC quali interlocutori privilegiati per costruire un nuovo centro-sinistra implica, nei fatti, che il PD di Bersani ritiene che il proprio compito sia dare rappresentanza al variegato mondo della sinistra (frazionatosi dopo la caduta del muro in tante sigle) e che spetti invece all’UdC catturare il voto degli elettori che non sono di sinistra, ma che non vogliono consegnare l’Italia nelle mani del populismo berlusconian-leghista.
Il PD si occupa dei progressisti, l’UdC dei moderati: insieme per sconfiggere il populismo della destra.
Questo è lo schema di gioco del PD di Bersani.
Ma, se è così, chi non proviene dalla sinistra post-comunista, cosa ci sta a fare nel PD ? Meglio, molto meglio, seguire lo schema di gioco di Bersani e cambiare partito; cosa che infatti stanno facendo in tanti.

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