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sabato 9 gennaio 2010

La crisi non è finita

Prima della crisi: l'auspicio tradito.
Quindici mesi fa sostenevo che la crisi economica avesse soltanto natura finanziaria, al massimo con qualche escursione di natura creditizia oltre oceano. Il sistema economico europeo e in particolare italiano si basa sull'industria, la nostra è ancora una economica prevalentemente di trasformazione e di natura produttiva in senso stretto, e solo relativamente marginalmente di tipo finanziario e immateriale. Quindi, pensavo, gli effetti della crisi si fermeranno al sistema finanziario, non toccheranno le industrie. Gli impiegati e gli operai non rischieranno niente. Mi sbagliavo. La crisi ha investito il settore manifatturiero poichè, erodendo la disponibilità di spesa, ha ridotto i livelli di consumo contraendo la domanda.

Presagi di realismo: la crisi non è finita.
Tralasciamo la grande questione del modello di sviluppo, troppo complessa per essere affrontata in questo spazio. Il nostro Paese ha tamponato gli effetti sociali della crisi ricorrendo agli ammortizzatori, strumenti inventati nei vituperati anni settanta e ottanta (gli anni del centrosinistra democristiano), che tra i tanti torti ci hanno lasciato in eredità la dote della cassa integrazione. Oggi tutte le parti sociali e politiche fanno a gara per chiedere maggiori risorse per gli ammortizzatori sociali. E fanno bene. Certamente il sistema dello stato sociale è da riformare, a partire dalle pensioni per arrivare all'assistenza e alle prestazioni a sostegno del reddito. Ma sicuramente la fase acuta degli effetti della crisi non è esaurita: molte aziende sono arrivate al massimo di utilizzo della cassa integrazione, quindi o i consumi tornano ai livelli ante crisi, oppure queste aziende dovranno ridurre fortemente il personale. Licenziamenti collettivi.

Durante la crisi: un nuovo auspicio.
Si dovrà molto riflettere sul modello di sviluppo per il futuro, ma nelle more di questa riflessione e in attesa che la stessa partorisca un modello alternativo qulacuno dovrà gestire gli effetti dell'attuale modello. In altri termini, la crisi non è finita. Mercato del lavoro e sistema industriale devono allearsi per gestire la fase più critica. Serve da un lato la presa di coscenza che il sindacalismo del novecento è superato, non è più tempo di "lotte" e di "battaglie" e di "dimostrazioni di forza" ma di collaborazione e responsabilizzazione; dall'altro lato una maggiore consapevolezza collettiva del ruolo che la piccola e media impresa svolge nel tessuto economico e sociale del Paese, sia in termini di contribuzione al Pil, sia soprattutto in termini di collettore tra lo sviluppo economico e le dinamiche sociali a livello locale. Troppo spesso la piccola e media impresa viene considerata come una realtà industriale di second'ordine sia nelle scelte di politica economica che nell'opinione pubblica, dimenticando che assorbe complessivamente più addetti della grande industria. E' altrettanto vero che da parte delle piccole e medie industrie deve ancora maturare compiutamente una "coscenza sociale e collettiva", ovvero una piena presa di coscenza del loro ruolo sociale, soprattutto a livello locale. Questa maturazione potrà essere meglio raggiunta se le forze sociali e politiche sapranno focalizzare le migliori attenzioni sulle esigenze delle medie imprese.

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