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giovedì 2 settembre 2010

Un pò di verità sulla politica industriale

«È venuto il momento che l’Italia si dia una seria politica industriale nel quadro europeo secondo le grandi coordinate dell’integrazione europea». Giorgio Napolitano, Presidente della Repubblica.

Ma cos'è una politica industriale? Si sa, gli industriali sono allergici alla politica, la vedono come soggetto sconosciuto dalle sembianze mostruose e non molto amiche. E spesso è vero anche il contrario; cioè i politici non sono molto amici dell'industria. Quando si parla di politica industriale il pensiero corre facile a misure quali gli incentivi, gli aiuti di Stato alle grandi imprese o a specifici settori, ad iniziative di sostegno della domanda e dei consumi, ad istituti quali la cassa integrazione o la mobilità. Tutte misure "paraindustriali" che marcano semmai situazioni patologiche e non fisiologiche dell'industria, vendute dai governanti come "strumenti di politica industriale". Forse è per questo che gli industriali sono allergici alla politica.

Fare politica industriale non significa nominare un Ministro dello Sviluppo Economico. La politica industriale nasce e prende forma dentro le fabbriche, negli uffici di progettazione, nei rumorosi reparti produttivi, sui tavoli attorno ai quali si riuniscono manager ed industriali per decidere se e come investire risorse, quali e quanti beni produrre, quali e quanti lavoratori necessitano.

Gli industriali si fanno politica da sè.
Semmai hanno bisogno che la politica dia a loro condizioni di contesto idonee e favorevoli. Cito in questa sede solo due elementi: la cultura del lavoro industriale, le infrastrutture.
Anziutto si fa politica industriale se si favorisce la diffusione della cultura del lavoro industriale. Il lavoro nelle aziende industriali ha caratteristiche precise, orari, metodi, tempi, ritmi, tensioni, particolari. La vita di fabbrica e l'ambiente di fabbrica sono molti particolari. Fare politica industriale significa anzitutto favorire la presenza dei lavoratori all'interno di questo ambiente, facendone cogliere le sue caratteristiche peculiari senza avere la minima pretesa di snaturarne o omologarne i contenuti tipici.
In secondo luogo si fa politica industriale consentendo alle industrie di stare nel mondo globale restando dove sono. Saronno dista da Busto Arsizio pochi chilometri, ma è possibile impiegarci più di trenta minuti per percorrere questa distanza? Politica industriale significa merci che si spostano, persone che si spostano, macchine che si spostano. L'industria è sempre in movimento, quando le merci si fermano i cancelli si chiudono. Auguriamoci pertanto di avere sempre problemi di spostamento da risovlere e da girare alla politica.

Credo quindi che la questione non sia tanto la mancanza del Ministro.
L'industriale produce e vende i suoi beni a prescindere dall'esistenza di un Ministero dello Sviluppo Economico. Per fortuna. Se la politica avesse davvero interesse a favorire e rilanciare l'industria nel nostro Paese sentiremmo campagne formative nelle scuole che illustrano e spiegano come si lavora nelle fabbriche, avremmo condizioni infrastrutturali adeguate, avremmo maggiore disponibiltà di profili professionali specializzati di cui le industrie, quelle italiane, continuano ad avere bisogno. Per fortuna.

Pietro Insinnamo

1 commento:

  1. “Ho molto apprezzato le riflessioni del Presidente Napolitano. Non scherziamo: il Paese non può restare senza ministro in un settore così delicato. … Noi imprenditori dobbiamo contribuire a creare nuove occasioni di lavoro. Ma nei paesi più evoluti non si può continuare a investire secondo i vecchi criteri: la fabbrica, i macchinari, le infrastrutture. … Oggi non puoi più andare sul mercato a vendere solo prodotti. Devi vendere soprattutto progetti”. Così Mario Moretti Polegato, Mr Geox, al giornalista de La Stampa che lo intervistava sulle polemiche seguite all’esternazione del Presidente della Repubblica.
    La devastante crisi economica nella quale ci troviamo nasce dall’assunto che l’obiettivo primario di un imprenditore è quello di crescere di più e più in fretta. Che i lavoratori sono sostanzialmente dei “macchinari”, delle “(infra)strutture” che puoi eliminare quando sono d’intralcio all’obiettivo primario. E’ ciò che avviene ogni volta che la politica si ritira e lascia agli industriali di fare politica da se.
    Il rischio che oggi corriamo è quello di uscire dalla crisi con gli stessi presupposti con i quali ci siamo entrati: crescere di più e più in fretta. Pronti, quindi, per la prossima devastante crisi.
    L’errore del centrosinistra e con esso quello (imperdonabile) dei cattolici italiani che si rifanno alla Dottrina sociale della Chiesa è proprio quello di aver rinunciato (e di rinunciare) a porre il lavoro al centro dell’economia e le scelte di politica economica e industriale al centro del modello di sviluppo della società. Quasi che accettare di avere una delle industrie di armamenti più fiorenti al mondo sia solo un'opportunità industriale e non invecde un tema di scelte politiche meno dirimente di altri ritenuti non negoziabili.

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