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martedì 22 dicembre 2009

Società aperta tra tradizione e progresso

Fino a qualche decennio fà si usava dare ai propri figli il nome dei propri genitori. Tradizioni. Chissà poi per quale ragione. Forse per identificare un'appartenenza, una "casta". Penso a mio nonno che si chiamava come me e come suo nonno. In casi particolari la scelta del nome era motivata da ragioni di devozione religiosa. Penso a mio padre che deve il suo nome ad un voto fatto da mio nonno durante la prigionia di guerra. I miei figli hanno nomi diversi da quelli dei loro nonni, italianissimi, comuni, che hanno un significato nella storia mia e di mia moglie e nell'idea di famiglia che noi coltivavamo già prima che loro nascessero. La nostra società è permeabile al nuovo e al diverso. Lo si vede anche dai nomi: non solo e non tanto dalla semantica (Kevin? Douglas? Tobias?), quanto dalle motivazioni che ci stanno dietro. Lo si vede ad esempio dal clamore che spesso solleva il velo islamico. O da altre tradizioni appartenenti a culture diverse dalla nostra. Vivere in una società permeabile alla novità costringe a verificare costantemente le ragioni delle proprie scelte: etiche, culturali, religiose, sociologiche, ecc.. Non è detto che il trade off tra passato e presente, tra tradizione e progresso, tra storia e novità si risolva sempre a favore del nuovo. Del resto non neanche vero che chiudersi nella tradizione e nella conservazione del passato costituisca la risposta giusta alle sfide del progresso. Tradizione e progresso vengono forse vissuti troppo spesso come antagonisti, come pugili sul ring. Ma è davvero così? O forse le sfide del progresso e del nuovo possono essere vissute come un'occasione per rinnovare le proprie scelte, la propria storia, il proprio vissuto? Magari dopo averle verificate, attualizzate, rinverdite e rinvigorite. Del resto solo il futuro può dare senso al passato. E senza passato, e una buona dose di speranza e di libertà di pensiero, non c'è futuro. A volte mi sembra che in chi si propone come paladino della tradizione ci sia, oltre ad una forte dose di ipocrisia, anche una notevole dipendenza dal passato, che si traduce in incapacità di traghettare la propria storia nel futuro. Allora pongo la questione di fondo: quali sono i valori cristiani sui quali si basa la nostra società da promuovere, verificare, rinverdire, riprporre pensando ad un futuro fatto di pluralismo e multiculturalismo, senza scadere nel conservatorismo e nel tradizionalismo?

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