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mercoledì 30 dicembre 2009

A margine della rivolta iraniana

L’evolversi della situazione iraniana mi offre lo spunto per un’interessante considerazione d’ambito religioso-sociale.

Pochi hanno notato un fatto. I manifestanti che riempiono le strade di Teheran e delle altre città iraniane per protestare contro il potere di Ahmadinejad non gridano solo slogan politici. Non urlano cioè solo «Morte al dittatore!». Tra le loro parole d’ordine ci sono anche invocazioni alla giustizia tratte direttamente dal Corano. Chi scende in piazza si fa forte del testo sacro dell’Islam per opporsi a una pratica di governo oppressiva e palesemente contraria al volere di Dio, che ordina all’uomo il bene, non il male. Gli ayatollah, sorretti dal popolo, hanno trent’anni fa conquistato il potere politico in Iran. Gli ayatollah, sconfessati dal popolo, rischiano oggi di perdere quello stesso potere. Il discorso religioso rimane in primo piano e protagonista del discorso religioso rimane il popolo.

Tutto ciò deriva da una caratteristica precisa della religione islamica. Nell’Islam, ogni fedele è sacerdote a se stesso. Non c’è un clero - anche se gli sciiti fanno parzialmente eccezione -, non c’è una gerarchia verticistica e centralizzata, non c’è un papa che detti la linea ex cathedra. Il buon musulmano legge il Corano e ne applica gli insegnamenti, interpretandone la parola per la sua stessa vita. Da qui alla strada il passo è breve: ecco cosa permette al musulmano di Teheran di contestare legittimamente la guida politico-religiosa del paese.

Sappiamo che la tradizione cattolica è molto diversa. I nostri pastori hanno gestito in proprio e gelosamente custodito per quasi duemila anni il ministero della Parola di Dio. E i tentativi più recenti - di stampo conciliare - di allargare questo ministero e renderlo universale non hanno attecchito. O non hanno ancora attecchito a sufficienza. I cattolici non leggono a casa loro i Vangeli e aspettano passivamente che sia il sacerdote, la domenica, in chiesa, a spiegargli cosa Gesù desidera dai suoi amici. Sulle conseguenze politiche e culturali di questo fatto si sono spesi fiumi d’inchiostro. Io ne metto in evidenza una, minima e vicina a noi. I cattolici lombardi non scendono in strada per contestare l’uso distorto che dell’insegnamento cristiano fa la Lega. E tanto meno per opporsi al matrimonio d’interesse tra la Lega stessa e i politici d’estrazione dichiaratamente confessionale che guidano oggi la regione. A quanto pare, se esercitano un discernimento personale sul Vangelo, lo esercitano privatamente. E si estraniano o rifiutano di esercitarlo su un piano pubblico e collettivo. Apparendo così del tutto incapaci di reclamare apertamente una retta etica di governo cristiana.

Non condivido la confusione tra politica e religione, tipica dell’Islam e perdurante oggi a millecinquecento anni dalla missione di Maometto. Ma non tutto ciò che viene da quella fede è cattivo.

2 commenti:

  1. Al solito non banale le osservazioni di Maurizio. Tanto sul fronte islamico-iraniano quanto su quello cattolico-italiano. Ma domando: è la lettura personale del Corano a mandare in piazza un gran numero di Iraniani? O, piuttosto, il raggiunto limite di insopportabilità di una dittatura sempre più oppressiva e disumana? E’ (solo) la scarsa frequentazione personale dei Vangeli a trattenere i cattolici lombardi dallo scendere in piazza contro l’uso blasfemo della religione o a sostegno del loro pastore rozzamente insultato dai leghisti?

    Ci sono similitudini tra le due situazioni menzionate?
    Gli iraniani riformisti contestano prima Kamenei che Ahmadinejad; cioè prima il supremo custode dell’ortodossia religiosa che il politico fantoccio. E lo fanno con slogan di derivazione coranica, mostrando così un’interpretazione affatto diversa del testo sacro all’islam.
    Quei cattolici lombardi che non contestano gli insulti a Tettamanzi e non si oppongono all’uso blasfemo dei simboli religiosi da parte della Lega, lo fanno ispirandosi ad una lettura alquanto personale dei Vangeli e dell’insegnamento ex cathedra della gerarchia. Si sono, cioè, costruiti un cristianesimo fai-da-te. Se così non fosse, sarebbero in prima linea a difesa dei valori, con ogni evidenza evangelici, che il loro pastore richiama. Se così non fosse sarebbero più allarmati da chiese vuote che da moschee piene.
    La scorsa settimana ho ascoltato il direttore della cattolicissima rivista “Tempi” affermare, in una trasmissione televisiva, che dai Vangeli non emergerebbe alcuna predilezione di Gesù per poveri ed emarginati. Eppure, non dubito, conosce bene quei testi.

    Concordo con Maurizio quando dice che una maggiore frequentazione personale delle Scritture non potrebbe che far bene a noi cattolici: dal Concilio sono trascorsi oltre quarant’anni. E, con le cautele del caso, l’Islam può esserci d’esempio. Senza tornare ad un collateralismo fede-politica fortunatamente superato, certi matrimoni politici d’interesse risulterebbero sicuramente molto più indigesti. A vantaggio di tutti. Cattolici, non credenti, diversamente credenti.
    Augusto

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  2. Sicuramente non sarà il leghismo a salvare il cristianesimo dalla presunta offensiva islamica. Non c'è niente nel leghismo che si avvicini ad una corrente di pensiero, ad un filone culturale, ad una elaborazione socio - politica. Perchè mai il Cardinale Tettamanzi dovrebbe sentirsi turbato dal belare della mandria leghista? E perchè mai dovrebbe "abbassarsi" a confrontarsi con il mandriano? La Lega fa un uso strumentale del cristianesimo e del crocefisso. Il livello del confronto culturale non lo stabilisce la lega, per due ragioni: non è all'altezza di affrontare un confronto di tale portata e non ha radici cattoliche. I cattolici non devono pertanto rispondere a Bossi, a Calderoli o agli altri mandriani; piuttosto dovrebbero interrogarsi sulla dimensione storica che stiamo attraversando alla luce dell'insegnamento biblico. Detta in altri termini, il magistero della Chiesa. La migliore difesa del Cardinale Tettamanzi dopotutto è ascoltare la sua lectio.

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